lunedì 3 settembre 2007

Adolescenza – malessere – disagio:imposizione di una rinuncia.

Il malessere nella cultura, come lo ha chiamato Freud, sembra, negli ultimi anni, trasformarsi in malessere verso le modificazioni psico-affettive imposte non dal Ideale Sociale o Super-Io (innestato nell’Io-ideale come identificazione con l’oggetto privilegiato e di riferimento), ma dalle necessità dello sviluppo psico-affettivo.
L’interiezione timologica ha portato a prendere in considerazione le molte e pregnanti questioni degli affetti, dei valori e, quindi, del rapporto equilibrato ed “ecologico” con l’Altro e, proprio per questo, a prendere in considerazione (potremmo dire “finalmente”) le funzioni affettive, mettendo quasi in secondo piano quelle cognitive.
Queste considerazioni non fanno dimenticare le problematiche dello sviluppo in relazione con l’oggetto genitoriale ed ance con la funzione “Nome del Padre” e con quelle dinamiche che rispecchiano il “Ruolo paterno” che condizione fortemente le problematiche edipiche.
Le cause sono molteplici, dal momento che prendono spunto dalla psicoanalisi, dalla sociologia e dalle problematiche utilitaristiche che investono i comportamenti dei genitori, ma il risultato da tutti riconosciuto è che la figura del Padre ha perso, nella società d’oggi, importanza, significazione e pregnanza.
Purtroppo il padre, in una percentuale molto elevata di casi, si limita ad essere colui che pensa al sostegno economico della famiglia (nell’attualità anche questo ruolo è spesso perduto proprio perché un solo stipendio non basta più ed è la moglie che dà un valido contributo), lasciando quasi del tutto l’onere educativo alla “madre”.
Il padre ha perso anche una valenza di centralità proprio perché ormai i figli fanno maggior riferimento ai maestri, ai compagni, agli amici e, per quanto riguarda una sorta di crescita culturale, all’informazione mediatica ed alla utilizzazione dei programmi di scambio attuati in Internet.
Non indifferente è anche il problema della dissoluzione della coppia che, oltre ad essere sempre più frequente, porta ad un ulteriore allontanamento dal tradizionale ruolo paterno.
Questo è sempre stato di tipo maschilista-impositivo e, solo negli ultimi anni, si è potuto dimostrare quanto sia importante la presenza del padre per creare le basi di un equilibrio psico-affettivo dei figli e, soprattutto, per immettere i giovani nelle dinamiche affettive e della socializzazione attiva, vale a dire, per far crescere il senso di responsabilità, del rispetto reciproco, della riconoscenza, dell’altruismo e della generosità.

Se in Freud il “malessere” può essere riportato prevalentemente alla “coercizione”, oggi il quadro che evidenzia disagio, difficoltà ed anche ritardi e/o blocchi dello sviluppo, è visto sotto un aspetto decisamente più complesso.
Silvia Ons fa un riferimento preciso al precetto “amerai il prossimo tuo come te stesso”, sottolineando la controversa relazione con le necessità pulsionali e con l’idea educativa che l’Altro merita una risposta d’amore.
La istintiva e primitiva dimensione pulsionali non viene oggi soffocata da imposizioni castranti, ma da “nuovi equilibri” etico-sociali che sono diventati il fondamento stesso della cultura, ma anche della difesa delle possibilità individuali e dei diritti personali intesi come “pari opportunità”.

Particolarmente importanti sono le osservazioni di Silvia Ons che, oltre a sottolineare un “cinismo post-moderno”, un “impasse etico” ed una “crisis de lo real” come caratteristiche problematiche della società d’oggi, mette in evidenza il “valor instrumental” della “maschera”.
Anche dalla nostra esperienza clinica possiamo desumere che i giovani tendono oggi, molto più che negli anni passati, ad utilizzare una sorta di mascheramento comportamentale per manipolare gli adulti, i genitori, gli insegnanti ed anche i propri compagni-amici-coetanei.
Questo atteggiamento che potremmo anche definire come cinico, serve loro spesso ad evitare situazioni critiche, ma soprattutto, per ottenere riconoscimenti poco “meritati” e vantaggi, oltre che per evitare rimproveri e castighi.
La moltiplicazione della “maschera” ha un significato altamente adattivo proprio perché permette di “modificare le regole identificatorie” e, quindi, di evitare situazioni critiche nascondendo le proprie e specifiche modalità comportamentali.
Questo è anche sottolineato dal predominio estetizzante del “mettersi in mostra”, dell’ottenere riconoscimenti estetici ed una attrazione a sfondo deduttivo ed anche vagamente erotico che, nel gruppo dei coetanei, risulta sempre più una necessità per non sentirsi emarginati, per considerarsi “In”, per potere “essere significativi” nel gruppo che spesso si trasforma in “branco”.
L’ipervalorizzazione dell’estetico, che significa uno spostamento sul corpo delle valenze significative dell’essere, rispecchia il declino dei grandi ideali illuministici (la cosiddetta “perdita dei valori”), il tentativo di una realizzazione mondana delle trascendenze dell’insegnamento religioso, lo svincolamento dallo priorità politiche che perdono, ogni giorno di più, senso e significato, lo sgretolamento della filosofia del diritto fondata sulla razionalità anche perché la globalizzazione ha portato a iperdimensionare la mercificazione dei principi che sono ormai secondari rispetto ai valori economici ed organizzativi.
L’impasse etico di cui parla Miller assimilandolo alla “crisis de lo real”, porta Guy Debord (“La sociedad del espectaculo”) a coinvolgere tutte le culture, tutti i movimenti, tutte le esperienze eterodosse. Ormai la società è uno spettacolo sul quale valgono gli slogan, i manifesti, le iscrizioni murali, i cartelli pubblicitari posti sulle grandi vie di comunicazione.
In questo modo, la contestazione giovanile diventa banale e conformista, ben lontana da un compromesso storico capace di dare senso alla vita e valore all’esistenza.
Forse si potrebbe trovare in questa “perdita di senso”, la giustificazione della crisi della società che si rispecchia nella situazione critica degli adolescenti che sperimentano sensi di angoscia (per lo più legati a frustrazioni), disagio esistenziale (mancanza di ideali e di modelli validi), difficoltà di auto-identificazione (sensi di estraneità) ed anche blocchi o ritardi dello sviluppo.
Questa situazione è presa come esempio di “malattia” e quindi come sintomo, ma la clinica dimostra che questi processi vanno riferiti a difficoltà identificatorie che si instaurano precocemente (a partire dai 3-4 anni) e sempre legate a problematiche nel rapporto interpersonale con i genitori e con un oggetto genitoriale dismorfico.
Ci si potrebbe riferire anche ad una situazione di vissuti contrapposti che portano i giovani a vivere relazioni interpersonali come espressioni di legami tra “facce di plastica” (Silvia Ons). Gli atteggiamenti ed i comportamenti eccessivamente liberi si scontrano con un sistema sociale opprimente. Anche nei filmati televisivi (di origine nord-americana) si registrano spesso i consigli delle assistenti sociali; “… se tu fai esattamente quello che io ti consiglio potrà aiutarti, altrimenti dovrai vedertela con la rigidità della legge”.
Alfredo Grande parla di “Ideale del Super-Io” per indicare una specie di atteggiamento libidico della legge (rappresentata dal Super-io).
L’espressione è perfettamente consona con il mettere sullo stesso piano:
Ideale dell’Io = espressione arcaica, istintiva, libidica dell’Io;
Ideale del Super-Io = espressione del piacere della legge, dell’Istituzione, dell’adulto che cercano il loro “godere” nel proprio imporsi (sembra di fare riemergere le valenze del “figlicidio” evidenziato alcuni decenni fa da Martin R. Raskovsky).
Da questo avrebbe ragione ancora Miller che mette in relazione il disagio con lo svilimento del Ideale che porta però il soggetto ad immettersi in un “discorso” a lui imposto ed anche poco accettabile se non attraverso una svalorizzazione o castrazione del Sé.In ultima analisi, questo meccanismo risulterebbe la causa non solo del disagio, ma anche di una rinuncia a crescere, a imporsi come soggetto, a superare il proprio ed autentico senso della vita.

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